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Category Archives: Responsabilità degli Enti ex D. Lgs. 231/2001

Il contesto

Con l’approvazione del DDL Nordio, dal nome del Ministro della Giustizia, il Parlamento ha definitivamente messo una pietra tombale sul reato previsto e punito, almeno fino a ieri, all’art. 323 del cod. pen.

L’abolizione di tale reato, che negli anni ha subito plurime modifiche ad opera del legislatore, è stata tanto caldeggiata da tutti quei “professionisti pubblici”, sindaci e amministratori, i quali sostengono che la presenza del reato testé citato spinga spesso a evitare di assumersi responsabilità decisionali anche su provvedimenti banali, per paura di incorrere in procedimenti penali: il timore di commettere abuso d’ufficio provocherebbe in loro la paura di assumersi responsabilità, spesso definita “paura della firma”.

A seguito dell’abolizione dell’abuso di ufficio, questa paura non è più un problema e tutti coloro che hanno subito una condanna passata in giudicato, secondo il principio dell’abolitio criminis, vedranno la revoca della loro condanna.

Preme segnalare, tuttavia, che nel D. L. sulle carceri, il governo ha introdotto un nuovo articolo al cod. pen. – “indebita destinazione di denaro o cose mobili” –, art. 314 bis, in cui pare che possano farsi rientrare parte delle condotte precedentemente sussumibili proprio all’abuso d’ufficio: “Fuori dei casi previsti dall’articolo 314, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e l’ingiusto vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto sono superiori ad euro 100.000”.

Legadvance sta studiando il nuovo reato e le possibili applicazioni della fattispecie ai fini della responsabilità amministrativa degli enti.

Ricordiamo che l’abuso d’ufficio era previsto all’art. 25 del D. Lgs. 231/2001 e che pertanto andrà espunto dall’elenco, così come si dovrà procedere all’inserimento del 314 bis dopo la Legge 112/2024 di conversione del D. L. 92/2024.

Infine, preme segnalare la “riscrittura” dell’art. 346-bis c.p. (traffico di influenze illecite) in cui il legislatore rende rilevante solamente l’utilizzo di relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno dei soggetti di cui all’art. 322-bis c.p., eliminandosi il richiamo alla condotta di «vantare relazioni asserite» con i suddetti soggetti.

La condotta dell’agente deve essere realizzata “intenzionalmente”, essendo quindi necessario l’elemento soggettivo del dolo intenzionale. Viene introdotta, tra le finalità della condotta, la realizzazione di “altra mediazione illecita”, normativamente definita come la mediazione volta ad indurre il pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio/altri soggetti indicati dalla norma a compiere atti contrari ai propri doveri d’ufficio che:

a) costituiscano reato e da cui possa derivare un indebito vantaggio.

Viene introdotta la natura “economica” del vantaggio dato o promesso al mediatore, da intendersi, oltre che con il denaro, anche con una “utilità economica”.

Cosa fare adesso

La novella modifica l’elenco dei reati presupposto inseriti nella parte speciale del modello di organizzazione, gestione e controllo; tuttavia, tale modifica, non incidendo direttamente sul risk assessment, non impatta direttamente ed in via immediata sul Modello 231.

Ad oggi, è sufficiente prendere atto delle modifiche introdotte, rimandando al prossimo aggiornamento/revisione il “ritocco” della parte speciale del Modello.

Con Decreto del 5 giugno 2024 il Tribunale di Milano – sezione misure di prevenzione – ha disposto l’amministrazione giudiziaria per un anno di un noto marchio di moda di lusso, perché nell’esecuzione della propria attività produttiva si è avvalsa, mediate contratti di sub-appalto, “[…] di soggetti che sono dediti ad un pesante sfruttamento di manodopera […] essendo emersa, nel corso delle indagini, una prassi illecita così radicata e collaudata, da poter essere considerata inserita in una più ampia politica d’impresa esclusivamente diretta all’aumento del profitto, non apparendo le condotte investigate frutto di iniziative estemporanee ed isolate di singoli, ma di un’illecita politica di impresa”. In altri termini, l’azienda, senza preoccuparsi di sottoporre a audit la filiera produttiva, in un più generale piano di verifica delle condizioni di liceità dell’attività d’impresa, si è resa colpevole, nei limiti di una condotta censurabile su un piano di rimproverabilità colposa, di aver agevolato le illecite condizioni di sfruttamento dei lavoratori; il reato è previsto e punito dall’art. 603 bis c.p. e inserito, come noto a tutti gli addetti al settore della compliance aziendale, nel catalogo dei reati di cui al D. Lgs. 231 del 2001.

Senza soffermarci sui profili di diritto della misura di prevenzione ex D. Lgs. 159/2011 applicata alla società di moda, dal nostro punto di vista è importante rilevare che il controllo giudiziario dell’attività sarebbe stato disposto perché la società è stata «ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo»; la società abbia «omesso di assumere tempestive ed adeguate iniziative di reale verifica della filiera dei sub-appalti sino alla rescissione dei legami commerciali con le aziende dedite alle forme meglio note come “caporalato”»; la società abbia «colposamente alimentato tale meccanismo, non verificando la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatrici alle quali affidare la produzione, non effettuando nel corso degli anni efficaci ispezioni o audit per appurare in concreto le effettive condizioni lavorative e gli ambienti di lavoro». Ma vi è di più, i giudici si sono spinti, pur garantendo la continuità aziendale sotto il profilo della cura del core business in capo agli organi di amministrazione societaria, a stabilire l’azzeramento dei componenti della governace e degli organi di controllo al fine di adeguare i presidi di controllo interno alla struttura societaria.

Il caso appena esposto deve far riflettere chiunque, perché i vertici delle imprese che si avvalgono di appaltatori nella propria filiera produttiva sono oggi chiamati a rafforzare sensibilmente il sistema dei controlli.

Cosa possono fare le società?

  • adottare il Modello 231 e, per chi ne è già dotato, verificare che preveda il rischio di sfruttamento del lavoro da parte degli appaltatori della filiera produttiva. Tale rischio dovrà essere prevenuto mediante la previsione di specifici audit, anche in loco.

Per tutti coloro che sono Presidenti o componenti di Organismi di Vigilanza, o sono in attesa di nomina:

  • prevedere l’inserimento di verifiche ad hoc all’interno del “Piano delle Attività dell’Organismo”, oltre che rivedere i Modelli nelle sue parti.

Perché tutto questo?

Assicurare all’Organo Gestorio la presenza in azienda di un ulteriore controllo di terzo livello composto da professionisti che creino o rafforzino un “sistema integrato di Controlli” societari che riduca il rischio e prevenga ogni forma distorta di esercizio dell’attività di impresa.