La Cassazione con ordinanza n. 15391 del 3 giugno 2024 è tornata a pronunciarsi sul tema dei controlli a distanza dei lavoratori, disciplinati dall’art. 4 della legge n. 300/1970 (lo “Statuto dei lavoratori”), norma giuslavoristica a confine con le norme che regolano il trattamento dei dati personali.
Ancora una volta il datore di lavoro soccombe a causa del mancato rispetto della normativa privacy espressamente richiamata dall’articolo citato.
I fatti di causa hanno visto coinvolto un dipendente trasfertista le cui mancanze sarebbero emerse esclusivamente grazie al controllo effettuato dal datore di lavoro degli spostamenti avvenuti con l’auto munita di telepass aziendale.
La Cassazione ha confermato quanto affermato nei due gradi di giudizio precedenti, poiché le ragioni alla base del licenziamento sono state dimostrate mediante uno strumento – il telepass – idoneo a porre in essere un controllo a distanza all’insaputa del prestatore di lavoro. A nulla è valsa la difesa della società, fondata sulla consapevolezza del dipendente della presenza dello strumento nell’automobile e la facoltà di questo di rimuoverlo, usufruendo del tradizionale casello autostradale.
L’esito di questo giudizio, ancora una volta, porta all’attenzione generale l’importanza di non sottovalutare gli stretti legami tra l’articolo 4, come riformato nel 2015 e la normativa in materia di trattamento dei dati personali.
L’esito della causa avrebbe potuto essere probabilmente completamente diverso se il datore di lavoro avesse dato proba di aver fornito “al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto [dalla normativa che disciplina il trattamento dei dati personali, N.d.R.]” (art. 4, c. 3 della L. 300/1970). In concreto, l’azienda avrebbe dovuto mappare tutti gli strumenti che permettono un indiretto controllo a distanza dei lavoratori, ricondurre gli stessi alle differenti tipologie descritte dai commi 1 e 2 dell’articolo citato ed eseguire gli adempimenti – anche per quanto richiesto dalla normativa privacy e dall’autorità Garante – nei confronti dei lavoratori. Non per tutti gli strumenti occorre l’accordo con le rappresentanze dei lavoratori o l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.
In conclusione, contrariamente a quanto può superficialmente apparire, dalla riforma del 2015 dispone di poteri e prerogative ben più ampi e potenzialmente efficaci rispetto al passato; per il loro impiego occorre tuttavia rispettare le disposizioni normative. In difetto, il datore di lavoro rischierà di incorrere nel reato di condotta antisindacale, in sanzioni amministrative pecuniarie fino al 4% del fatturato globale dell’esercizio precedente, nell’inutilizzabilità dei dati raccolti ai fini disciplinari e giudiziari.