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Un altro caso di Amministrazione Giudiziaria nell’Alta Moda, dopo i casi Armani e Alviero Martini

Con Decreto del 5 giugno 2024 il Tribunale di Milano – sezione misure di prevenzione – ha disposto l’amministrazione giudiziaria per un anno di un noto marchio di moda di lusso, perché nell’esecuzione della propria attività produttiva si è avvalsa, mediate contratti di sub-appalto, “[…] di soggetti che sono dediti ad un pesante sfruttamento di manodopera […] essendo emersa, nel corso delle indagini, una prassi illecita così radicata e collaudata, da poter essere considerata inserita in una più ampia politica d’impresa esclusivamente diretta all’aumento del profitto, non apparendo le condotte investigate frutto di iniziative estemporanee ed isolate di singoli, ma di un’illecita politica di impresa”. In altri termini, l’azienda, senza preoccuparsi di sottoporre a audit la filiera produttiva, in un più generale piano di verifica delle condizioni di liceità dell’attività d’impresa, si è resa colpevole, nei limiti di una condotta censurabile su un piano di rimproverabilità colposa, di aver agevolato le illecite condizioni di sfruttamento dei lavoratori; il reato è previsto e punito dall’art. 603 bis c.p. e inserito, come noto a tutti gli addetti al settore della compliance aziendale, nel catalogo dei reati di cui al D. Lgs. 231 del 2001.

Senza soffermarci sui profili di diritto della misura di prevenzione ex D. Lgs. 159/2011 applicata alla società di moda, dal nostro punto di vista è importante rilevare che il controllo giudiziario dell’attività sarebbe stato disposto perché la società è stata «ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo»; la società abbia «omesso di assumere tempestive ed adeguate iniziative di reale verifica della filiera dei sub-appalti sino alla rescissione dei legami commerciali con le aziende dedite alle forme meglio note come “caporalato”»; la società abbia «colposamente alimentato tale meccanismo, non verificando la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatrici alle quali affidare la produzione, non effettuando nel corso degli anni efficaci ispezioni o audit per appurare in concreto le effettive condizioni lavorative e gli ambienti di lavoro». Ma vi è di più, i giudici si sono spinti, pur garantendo la continuità aziendale sotto il profilo della cura del core business in capo agli organi di amministrazione societaria, a stabilire l’azzeramento dei componenti della governace e degli organi di controllo al fine di adeguare i presidi di controllo interno alla struttura societaria.

Il caso appena esposto deve far riflettere chiunque, perché i vertici delle imprese che si avvalgono di appaltatori nella propria filiera produttiva sono oggi chiamati a rafforzare sensibilmente il sistema dei controlli.

Cosa possono fare le società?

  • adottare il Modello 231 e, per chi ne è già dotato, verificare che preveda il rischio di sfruttamento del lavoro da parte degli appaltatori della filiera produttiva. Tale rischio dovrà essere prevenuto mediante la previsione di specifici audit, anche in loco.

Per tutti coloro che sono Presidenti o componenti di Organismi di Vigilanza, o sono in attesa di nomina:

  • prevedere l’inserimento di verifiche ad hoc all’interno del “Piano delle Attività dell’Organismo”, oltre che rivedere i Modelli nelle sue parti.

Perché tutto questo?

Assicurare all’Organo Gestorio la presenza in azienda di un ulteriore controllo di terzo livello composto da professionisti che creino o rafforzino un “sistema integrato di Controlli” societari che riduca il rischio e prevenga ogni forma distorta di esercizio dell’attività di impresa.